È domenica e piove; diventa facile riflettere e il tempo è volato da quando, alle 7 del mattino, ho incominciato a leggere i post delle persone che ad oggi mi hanno dato sostegno.
Ho trovato molto di interessante, costruttivo, stimolante. Ora è il momento di ripensare e interiorizzare il tutto. Ricordo:
Tic, Tac, Tic, Tac, Tic, Tac, Tac,Tac, Tac,Tac, Tac….
Piove anche oggi e, come sempre, niente mi avverte in tempo. Non sento il ticchettio dapprima sommesso e poi incessante che diventa più forte.
Non odo neppure un tuono e l’aria che ora sventola e vortica e rotola per il giardino non mi solleticata neppure un capello.
Sono troppo presa dalla mia lettura, sdraiata sul dondolo che dondola sotto al pruno nel giardino di mia nonna. E coperta dalla sua sottana mi sembra di non trovar miglior riparo.
Chi me lo fa fare di attraversare il prato sotto la pioggia fitta e con le gambe nude e le carte in mano?
Mi rannicchio e allungo e deformo la maglietta per coprirmi almeno le ginocchia. Con la mano mi sostengo la guancia e l’orecchio continuando la lettura.
Mi immergo talmente e così nel profondo che nemmeno mi accorgo di quando smette. Forse un po’ di freddo, ma neppure per quello io mollo.
Al tempo della mia giovane estate, mi trovavo sull’isola del tesoro e con quindici uomini pestavo sulla cassa del morto, sbavando per una goccia di rhum. E gocce di giada erano gli occhi dell’Idolo di Sumatra nel fitto terrore della foresta.
Fui con la piccola principessa a muovere i primi passi nella miseria più nera e dalla soffitta con lei guardai le altre piccole donne crescere con noi. E con Pollyanna a contar le sue grucce.
“Custa cum ca custa! Viva l’Austa!” sillabai per capirne le parole del mio grande Cuore scritto con la piuma rossa.
Le tigri di Mompracen mi stavano a guardare mentre da una pozzanghera della via Pall raccoglievo un sasso per scagliarlo lontano.
Venite presto! All’arrembaggio! Quel maledetto coccodrillo s’è pappata la mia gamba e Peter si ricuce la sua ombra.
Volai con l’ombrello dal becco di pappagallo sui tetti di Londra e da lassù piansi a calde lacrime il tuffo maledetto del mio amico incompreso.
Con Nautilus negli abissi vidi mostruosi mostri marini e pigiai i tasti di un organo enorme che palpitava tra i brividi del profondo del mare. Pigiai con forza per schizzar fuori dal vulcano, che mi sparò dal centro della terra fin sull’Olimpo e tra le braccia di Zeus vidi Troja e il suo Odisseo.
Mi prese poi Ciclope e di Malavoglia mi costrinse faraglione.
Vidi un principe e un povero e un povero principe accanto al suo relitto nel deserto.Vidi oasi e piste e montagne. Di miraggio in miraggio con Marco fino alla Cina.
Vidi un tappeto volante e per mille e una notte mi accucciai accanto al mio Re, che seduto sul suo sofà mi disse ancora: « Raccontami una storia» e la mia vita incominciò.