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Ci sono strade, vie e vicoletti. Ci sono incroci e grandi svincoli, snodi e pendenze e corsie e portici, e gradini stretti dove i muri più in alto vanno a incapricciarsi tra le antenne, i camini e le tegole storte.
E ci sono palazzi immensi che solo a guardarli sprofondi nella loro gravità e da sotto si mettono in salvo piccolissime case, poca cosa, che strette le une alle altre si ostinano a trattenere il cielo col filo teso per la biancheria.
C’è il foglio di un giornale preso a pedate dal vento sull’asfalto arso; ci sono lampioni e insegne e minuti lumini rossi a rendere meno buia la malinconia.
Ci sono negozi, bar e grandi magazzini. Parcheggi, aiuole e scale mobili e il grave e l’acuto a ciondolar su altre scale; non manca l’aeroporto, la scuola, l’ospedale, non manca la neve e il parco per far giocare i fiori.
Altro c’è anche il mare e al tramonto lo puoi attraversare: dapprima lungo il pontile, poi si prosegue dritti oltre il tavolato perché il Cuore vuole quel pizzico di follia che a lui è dovuto.
Ci sono i lampi, ci sono i buoni. Ci sono le reti, ci sono i tuoni.
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Non manca nulla e se il nulla lo trovi, per sbaglio, sotto lo zerbino, lo puoi riempire allora di altra fantasia, presa in prestito, o portata in valigia da casa e messa via.
In un angolo c’è un uomo, chino tra le sue ossa e occhiali e bilanceri, che scrive con fare truce l’incipit di una ricetta, ma sbaglia e finalmente verga per me una riga maledetta!
Nell’altro ci sono due ragazzi iniziati da poco alla vita, che con stupito candore si animano nel parlar tra loro. Ma guarda quanto sono belli! Come freschi germogli bisticciano nel fare capolino.
Tra loro c’è colui che avrebbe dovuto essere e non è stato, soffocato nella terra rode da sotto tutto il mio peccato.
Ci sono il buio e il nero perché così c’è luce e bianco. Ci sono triste e pianto perché così spicca la gioia… e più leggero è il canto.
Leggera la mia città mi si annida ai fianchi e le sue colline sonnecchiano compiaciute.
L’aratro solca la via con fatica là dove tutto sembra perduto tra le nebbie di periferia; infine l’affondar diviene zuccherino tra fasce e cosce, cascine, e caste case…
M’angoscia ma è l’ora di chiusura.
Tornate domani, la città riapre. Al batter di ciglio della prima ora, chiamatela col suo nome: “Cristina”, e lei ritorna ancora.

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